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La commedia di Peppino De Filippo al Teatro delle Muse con il gruppo di via Forlì. Regia di Antonio Ferrante
Il Messaggero - M.L - 29/03/1991
Non è vero... ma ci credo di Peppino De Filippo è commedia della superstizione. La si può rivedere in questi giorni nell’allestimento della compagnia stabile del teatro delle Muse con La regia di Antonio Ferrante e l'interpretazione di Giacomo Rizzo, Wanda Pitol, Rino Santoro e ancora Claudio Veneziano e altri otto componenti li gruppo di via Forlì. Esattamente dodici personaggi in scena, non uno in più, perché non si sa mai.
Il titolo riprende una battuta del Croce, efficacissima nella sua antinomia interna, dove un rifiuto laico e positivista del magico (Non è vero), viene subito seguito da una sconfitta quasi liberatoria della ragione di fronte agli ammonimenti di un’atavica cultura popolare (...ma ci credo). In questo senso, la vicenda del commendatore Gervasio Savastano, uomo d’affari superstizioso fino al disturbo psichico, oltre ad essere molto divertente, è un esempio di ottimo teatro. Perché Peppino De Filippo rovescia la battuta del Croce, il quale rifiuta la superstizione, ma poi, per una spinta della paura, ad essa si piega. De Filippo, invece, finge di crederci, poi con un colpo dì scena dimostra che non è vero e, giocosamente, batte il filosofo proprio sul terreno della ragione.
Dunque, la commedia, armata di tutte le farse del caso e calata in una panoplia di amuleti, corni, ferri di cavallo, scongiuri, gesti apotropaici, possiede una delicata evoluzione e una sottigliezza dimostrativa che vanno salvaguardate.
Ferrante, allora, gioca, d'attesa, affidandosi giustamente alla potenza comica naturale della commedia, e impone rigorosi limiti all'espansività dei suoi attori. I risultati sono un Giacomoo Rizzo (il commendatore superstizioso) ricco di sfumature, di attenzioni, di guizzi risolutori, e un Rino Santoro (Alberto Sommaria, il contabile gobbo) dalla recitazione soffusa da rassegnata auto-compassione e di affilata ironia per la disgrazia del proprio personaggio. Anche Wanda Pirol (la moglie del commendatore) e Claudio Veneziano (l’avvocato Donati) contribuiscono al buon esito dello spettacolo lei per la sua aggressività veloce e lo spigliato disincanto verso il consorte, lui per quell'aria servile, quell’atteggiamento prono da gobbo mentale, che riesce ad assumere e mantenere per due ore e mezza di rappresentazione. Ben diretti anche gli altri componenti della compagnia.