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"Come si rapina una banca" con Gigi Reder
La Repubblica - Rodolfo Di Giammarco - 17/10/1989
QUEST’ANNO il Teatro Delle Muse si prefigge, e lo dichiara, di interpretare i gusti del pubblico in tema di spettacoli d’evasione. Piaccia o no, la franchezza non manca. Ora al vertice artistico del teatro non figura più Aldo Giuffrè, e a prenderne le veci è un suo '- compagno di cordata' della passata stagione, un comico di gavetta, Gigi Reder. La premessa è dovuta.
Poi ecco la serata inaugurale dell’89/90, all’insegnadi Come si rapina una banca di Samy Fayad (mai visto il nome di un commediografo in caratteri così minuscoli sulla locandina), farsa in cui lo stesso Reder impersona il ruolo di traino, di capofamiglia di un nucleo sbandato cui non resta, al colmo del1’indigenza, che promuovere un escursione-furto nella roccaforte di un’azienda di credito.
Siamo nell’ambito del vaudeville dolceamaro del dopoguerra o meglio del boom (credo che il copione risalga a poco prima del ‘64, allorché lo mise in scena Peppino De Filippo), e Fayad è autore, se non erro, attivissimo, e di vena grottesca e meridionale. Tutta la prima parte di Come si rapina una banca è un preludio fin troppo ispirato al modello nullatenente di Miseria e nobiltà, e qui però non c’è fame che tenga, non c’è marchingegno, o garbuglio, o inanità che facciano decollare abbastanza l’apparecchiatura umoristica di Favad, del gioco condotto da Reder, della regia calligrafìca (in direzione dei "nuovi poveri") di Antonio Ferrante.
C’è solo una sequenza difforme ma deliziosa per sagomatura e per ruolo (e per interpretazione), allorché nella iattura di questo interno partenopeo, che pure parla in italiano e non in dialetto, fa ingresso una vedova che sembra uscita fuori dalla penna di un Queneau, dì un Palazzeschi, di un Ambrose Bierce, una vedova col suo sfarfalleggiare macabro, con le sue alici per i gatti (che naturalmente fanno gola ai nostri proletari).
E’ il secondo tempo che comunque riserva le maggiori occasioni nell’ arte dell’assurdo e della macchietta, considerato che l’azione si svolge ora nel cuore di un’agenzia bancaria tutta lustra di marmi, deserta in quanto il cosiddetto colpo grosso attraverso una rete di tombini viene internato all’inizio del week-end. Oltre al piglio fanfaronesco ma umano di Gigi Reder, nella cornice del furto si riversano l’empito da madre mancina di Wanda Pirol, la dabbenaggine del Figlio (Rino Santoro), la gravidanza de1la filioIona (Liliana Randi), la 'garibaldinite’ del Nonno (Ruggiero Pignotti), ma a funzionare sono più che altro tre momenti. C’è un sublime sketch: una telefonata tra il ladro capofamiglia e un professore pedante che chiama e sbaglia dall’esterno, c’è di nuovo un entracte con quella vedova (una talora stupefacente Paola Giannetti) che spunta persino dal locale delle cassette di sicurezza, e c’è l’arrivo finale di un ben mariottenistico direttore di banca, Enzo Garinei.
Ma per il lungo spettacolo, che è un po’ sommariamente curato nelle scene da Renato Lori (costumi di Giada Calabria), è troppo poco. Anche se il teatro d’evasione, si sa (ma è vero?) ha cultori pazienti.